I giorni dell’abbandono

I giorni dell’abbandono (2002) racconta la storia di Olga, una donna di 38 anni con due figli, che viene lasciata improvvisamente dal marito, cui ha dedicato la sua vita, annullando le sue aspirazioni personali e professionali. Olga sarà costretta ad affrontare i fantasmi del suo passato e a combattere il rancore e il dolore, fino a ricompattarsi per affrontare di nuovo la “sua” vita.
Olga è una donna che, con fatica e coraggio, ricostruisce sé stessa dalla polvere delle macerie: è una donna che riesce a trasformare la delusione in speranza e la speranza in rinascita. Nelle parole della sua stessa autrice, la storia di Olga “… è la storia di come resiste, di come tocca il fondo e risale, di come l’abbandono la cambia senza annientarla.”
Elena Ferrante, come di consueto, affronta la condizione femminile con gran sincerità, senza tentativi di addolcire il contesto e il linguaggio, in questo romanzo diretto e sincero.
Dal romanzo I giorni dell’abbandono, nel 2005, è stato tratto un film, diretto da Roberto Faenza, e interpretato da Margherita Buy, Luca Zingaretti e Goran Bregovic.
Da leggere, assolutamente!
Buona lettura!
Ho scelto per te due brani del romanzo:
BRANO 1

All’inizio veniva a casa una volta al giorno, sempre alla stessa ora, verso le quattro del pomeriggio. Si occupava dei due bambini, chiacchierava con Gianni, giocava con Ilaria, tutt’e tre insieme uscivano a volte con Otto, il nostro cane lupo, buono come il pane, per portarlo per i viali del parco e correre dietro a bastoni e palle da tennis. Io facevo finta di aver da fare in cucina, ma aspettavo in ansia che Mario passasse da me e mi chiarisse che intenzioni aveva, se aveva sbrogliato o no la matassa che si era scoperto nella testa. Lui presto o tardi arrivava, ma di mala voglia, con un disagio che ogni volta diventava più visibile, a cui io opponevo, secondo una strategia che mi ero data durante le notti a occhi sbarrati, la messinscena degli agi della vita domestica, toni comprensivi, una mitezza esibita e accompagnata persino da qualche battuta allegra. Mario scuoteva la testa, diceva che ero troppo buona. Mi commuovevo, lo abbracciavo, cercavo di baciarlo. Si ritraeva. Era venuto – sottolineava – solo per parlarmi; voleva farmi capire con chi ero vissuta per quindici anni. Perciò mi raccontava crudeli memorie di infanzia, certe sue brutture adolescenziali, turbe fastidiose della prima giovinezza. Aveva solo voglio di dire male di sé stesso, e qualunque cosa gli rispondessi per rintuzzare la sua smania di autodenigrazione non lo convinceva, voleva a tutti i costi che lo vedessi come diceva di essere: un buono a niente, incapace di sentimenti veri, mediocre, alla deriva persino nella sua professione.
Adesso svolgi gli esercizi:
BRANO 2

Passai la notte e i giorni seguenti a riflettere. Mi sentivo impegnata su due fronti: tener ferma la realtà dei fatti arginando il flusso delle immagini mentali e dei pensieri; cercare intanto di farmi forza immaginandomi come la salamandra che sa attraversare il fuoco senza sentire il male. Non soccombere, mi spronavo. Combatti. Temevo soprattutto la mia crescente incapacità di fermarmi in un pensiero, di concentrarmi su un’azione necessaria. Mi spaventavano le torsioni brusche, non governate. Mario, scrivevo per darmi coraggio, non s’è portato via il mondo, s’è portato via solo sé stesso. E tu non sei una donna di trent’anni fa. Tu sei di oggi, aggràppati all’oggi, non regredire, non perderti, tieniti stretta. Soprattutto non ti abbandonare a monologhi svagati o maledicenti o rabbiosi. Cancella i punti esclamativi. Lui è andato, tu resti. Non godrai più del lampo dei suoi occhi, delle parole, ma con questo? Organizza le difese, conserva la tua interezza, non farti rompere come un soprammobile, non sei un ninnolo, nessuna donna è un ninnolo. La femme rompue, ah, rompue, rotta un cazzo. Il mio compito, pensavo, è dimostrare che si può restare sane. Dimostrarlo a me, a nessun altro. Se sono esposta ai ramarri, combatterò i ramarri. Se sono esposta alle formiche, combatterò le formiche. Se sono esposta ai ladri, combatterò i ladri. Se sono esposta a me stessa, mi combatterò. Intanto mi chiedevo: chi è venuto in questa casa, chi ha preso proprio gli orecchini e nient’altro. Mi rispondevo: lui. S’è preso gli orecchini di famiglia. Vuole farmi capire che non sono più come sangue suo, mi ha reso estranea, mi ha definitivamente esiliata da sé. Poi però cambiavo idea, quella mi sembrava troppo insopportabile. Mi dicevo: attenta. Tenersi ai ladri. Tossicomani forse. Spinti dal bisogno urgente di una dose. Possibile, probabile. E, per paura di esagerare con la fantasia, smettevo di scrivere, andavo alla porta di casa, l’aprivo, la chiudevo senza sbattere. Poi afferravo il pomo, tiravo a me con forza e sì, la porta di apriva, la serratura non teneva, la molla era usurata, la stanghetta entrava appena, un millimetro soltanto. Pareva chiuso e invece bastava tirare ed era aperto. L’appartamento, la mia vita e quella dei miei figli, tutto era aperto, esposto di notte e di giorno a chiunque. Arrivai presto alla conclusione che dovevo cambiare serratura. Se in casa erano entrati i ladri, potevano tornare. E se era entrato Mario, furtivamente appunto, cosa lo distingueva da un ladro? Era peggio anzi. Entrare di nascosto nella sua stessa casa. Frugare nei posti noti, leggere caso mai i miei sfoghi, le mie lettere. Il cuore mi scoppiava in petto per la rabbia. No, non avrebbe mai più dovuto varcare quella soglia, mai, i bambini stessi sarebbero stati d’accordo con me, non si parla con un padre che si introduce in casa a tradimento e non lascia nemmeno una traccia di sé, non un ciao, non un arrivederci, nemmeno un come state.
Adesso svolgi gli esercizi:

Per finire queste attività, cliccate QUI per guardare un video su Torino, la città dove si svolge la storia raccontata da Elena Ferrante in questo romanzo.
Non dimenticare di visitare il sito web di Costanza Milner per curiosare tra gli esercizi che lei ha pensato per te.
Al prossimo Caffè Letterario!
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